Il Flauto Magico (Parte seconda)

Eccoci arrivati alla seconda ed ultima parte di questa proposta di lettura del Flauto Magico di Wolfgang Amadeus Mozart…..

Sulla genesi del Flauto magico sono fiorite molte leggende: più che la scarsità, è l’elusività dei documenti in nostro possesso a renderle, se non legittime, almeno in parte quasi tutte giustificate. Che si parta da una ricostruzione delle circostanze esterne alla sua nascita, o che invece si affrontino direttamente il testo e la musica interrogandosi sulla loro sostanza e il loro significato, Il flauto magico è un’opera pervasa di mistero, avvolta in un’aura favolosa: e accettare questa condizione, senza specularci troppo sopra, è l’unica via per entrare dentro compiutamente nel suo mondo. Tutti gli accadimenti scenici e musicali che si svolgono nel Flauto magico seguono una dinamica eminentemente teatrale, sganciata però da una logica drammatica coesa, stringente e unitaria per principio. Se nelle opere ‘italiane’ Mozart aveva potuto abbattere le barriere dei generi fino al loro intreccio e alla fusione, facendo dei pezzi d’insieme il culmine dell’azione e della sintesi drammatica il mezzo per raggiungere la massima tensione musicale, nel Flauto magico non esistevano un terreno già coltivato su cui innestarsi né una tradizione su cui intervenire. Semmai c’era un nuovo genere da fondare: quello della «Deutsche Oper», ossia opera tedesca, titolo col quale Mozart registrò Die Zauberflöte nel catalogo delle sue opere alla data del luglio 1791, quando ne cominciò la strumentazione. Opera tedesca non significava automaticamente fondazione di un genere bensì semplicemente scelta, oltre che di una lingua, di una forma e di uno stile. La forma era quella del Singspiel, ossia di un’azione non interamente musicale ma comprensiva di parti parlate e di canto, lo stile quello della Zauberoper, l’opera di argomento tragico, mescolanza di tragico e di comico, di ‘meraviglioso’ e di bonariamente triviale, dove elementi fiabeschi intercalati a caratteri allegorici di più svariata natura si esprimevano in un tono ora popolare ora alto, non di commedia realistica ma di racconto fantastico, senza spazio né tempi reali. 

Fonte primaria del Flauto magico è la raccolta Jinnistan ovvero Raccolta di fiabe di fate e di spiriti edita da Christoph Martin Wieland tra il 1786 e il 1789: in particolare la fiaba Lulu ovvero Il flauto magico di August Jakob Liebeskind. Fonti secondarie del repertorio fiabesco sono invece Oberon, re degli elfi di Karl Ludwig Giesecke e il Singspiel Hûon e Amanda (1789) di Friederike Sophie Seyler. Per la tessitura morale dei misteri iniziatici e per l’ ethos illuministico del libretto, nonché per l’ambientazione orientaleggiante ed egizia, alcuni motivi provengono dal dramma eroico Thamos, re d’Egitto di Tobias Philipp von Gebler (già musicato da Mozart anni addietro) e dal romanzo Séthos dell’abate Terrasson; mentre il libro Misteri dell’Egitto del naturalista e massone Ignaz von Born suggerì probabilmente qualche tratto della figura di Sarastro. La consuetudine nata nell’Ottocento di considerare l’opera come una successione di scene costruite sulla progressione verso un unico culmine drammatico, e dunque sulla continuità dell’azione più che su coppie di contrasti, ha pesato a lungo, e pesa tuttora, sul giudizio del libretto del Flauto magico: perfino un uomo di teatro come Richard Strauss lo considerava confuso e strampalato, riscattato solo dalla musica sublime di Mozart. Molti, fin dall’inizio, ne hanno sottolineato l’incoerenza, come se l’opera avesse cambiato linea strada facendo. Questa tesi non soltanto risulta insostenibile da un punto di vista storico, ma è anche fuorviante rispetto alle premesse e ai valori drammaturgici che ne stanno alla base.

Il ribaltamento delle situazioni, che poi avrebbe raggiunto una logica drammatica più stringente nel Fidelio di Beethoven e nel Franco cacciatore di Weber, era uno degli elementi fondamentali del Singspiel e in particolare della Zauberoper; ne garantiva per così dire l’effetto di sorpresa, in modo spesso repentino e inverosimile ma proprio perciò teatralmente efficace. Gli ingredienti dell’intreccio fantastico, con inserti comici e simbolismi talvolta oscuri, tali però da colpire l’attenzione in modo diretto, trovavano la loro più attraente realizzazione negli effetti spettacolari con cui si moltiplicavano le sorprese, poco curandosi della verosimiglianza: improvvisi capovolgimenti di scena con conseguente spiegamento di macchinari, travestimenti e salvataggi spericolati, oggetti magici, interventi di animali e di mostri, di fate e di spiriti, ora malvagi ora benigni, spesso in ambigua relazione. Era questo l’armamentario della Maschinen-Komödie, che nella Vienna della fiabe del Settecento godeva di grande popolarità, forte di un linguaggio figurativo elementare, prossimo alla tipologia della fiaba: la cornice cui appartiene anche Il flauto magico ed entro cui sarebbe nata la nuova ‘opera tedesca’. A spingere verso l’alto e a dare sostanza più profonda a queste trasformazioni, che per risultare efficaci e avvincenti dal lato teatrale dovevano essere improvvise e inattese, provvede la tematica ‘morale’ che si innesta sul canovaccio della fiaba: il rogo illuminato di Sarastro e dei suoi sacerdoti coincide con un cammino di iniziazione. Non c’è dubbio che Mozart e Schikaneder abbiano riversato qui le loro idee massoniche di fratellanza e di solidarietà, facendo però dell’iniziazione un percorso teatralmente articolato. Se già il tono solenne della presentazione di Sarastro si identifica, anche nell’ascoltatore più ignaro dei riti massonici, con l’affermazione di valori superiori, quasi sacri, il bene non è ancora un valore acquisito: sarà il risultato di una conquista. Gli elementi di questa conquista portano in primo piano alcune convinzioni di Mozart, collegate alle ragioni più sostanziali e rituali della sua adesione agli ideali della massoneria; l’idea che accanto alla sfera terrena dei sensi, rappresentata nell’opera da Papageno, esista una sfera spirituale, di più completa bellezza: ed è lì che si realizza, nell’aspirazione alla trascendenza, la conquista dell’amore. Questo messaggio, non univoco ma piuttosto realizzato nella compresenza di più piani, non avrebbe tuttavia valore se accanto alla sfera superiore della coppia ‘nobile’ di Tamino e Pamina non continuasse a esistere anche quella inferiore, ‘plebea’, di Papageno e Papagena: umana l’una quanto l’altra. Nel contemperare e collegare questi valori l’opera ha una progressione tutt’altro che astrusa e inverosimile. Le simmetrie molto evidenti di cui l’opera è costellata, dal numero tre simbolo massonico al sette della figura piramidale retta dalla specularità di luce e tenebre, ricostruiscono un’unità formale interna all’opera, che fa della coerenza di piani il perno attorno a cui ruota il divenire delle trasformazioni.

Di solito si annette scarsa attenzione, in sede sia critica sia esecutiva, alla funzione dei dialoghi parlati nell’economia dell’opera. In teatro le parti parlate vengono abbondantemente tagliate, alterando così il rapporto con la musica. Se tutto ciò è ormai probabimente irreversibile, bisogna tuttavia tenerne conto quando si giudichi la tenuta drammatica del testo nel suo complesso. È in quegli spazi che si creano i presupposti e gli svolgimenti dell’azione, lavorando perché essi avvengano. Il clima di attesa che si produce quando la musica tace è la premessa affinché la tensione drammatica si intensifichi, sfociando poi nel canto. Punto culminante di tutto questo intreccio di motivi diversi è il finale del primo atto, che se da un lato riassume tutto ciò che fino a quel momento era stato posto in campo, dall’altro introduce verso altri significati. A mutar direzione non è solo il paesaggio esterno, ma soprattutto quello interiore, psicologico. La musica con cui i tre fanciulli, accompagnando Tamino davanti alle porte dei tre templi, richiamano alla fermezza, alla temperanza e al silenzio, ha il tono eloquente di un invito rassicurante, che prefigura il clima caldo, umano del regno luminoso di Sarastro, e nello stesso tempo contiene un’emozione arcana, un dubbio angoscioso che reca l’eco oscura della severità, della magnificenza e perfino del dolore della Regina della notte. Di colpo siamo introdotti in un’altra dimensione. L’intensificazione drammatica è ottenuta proprio abolendo l’alternanza fra parlato e canto, dando alla scena della rivelazione la forma di un recitativo accompagnato incalzante, che si fa dialogo serrato nell’incontro di Tamino con il sacerdote venuto a istruirlo sulla missione che l’attende. E che qui stia per accadere qualcosa di decisivo lo dice proprio la scelta di una forma aperta continua, intensamente drammatica, che innalza la sorpresa a effetto puramente musicale, al posto delle forme chiuse – arie, duetti e insiemi – usate in precedenza. Il fatto musicale diviene così individuazione di una dimensione formale e spirituale nuova anche sotto il profilo teatrale. 

Se il finale del primo atto rappresenta la rivelazione dell’esistenza dell’amore nella coscienza individuale, le prove del fuoco e dell’acqua costituiscono l’affermazione di una legge universale, trascendente, che riguarda tutta l’umanità in tutto ciò che vi è in essa di divinamente sacro: il compimento dell’amore come bellezza e saggezza nel mondo degli uomini. È ciò che chiaramente esprime, al vertice di tutta l’opera, la scena degli armigeri. Qui Mozart utilizza un procedimento simmetrico rispetto al finale del primo atto: non un canto interiorizzato dell’eroe, che si spoglia delle sue certezze per prepararsi esitante a una nuova rivelazione, ma una verità che si rivela con la forza di un imperativo categorico, la cui certezza consentirà alla coppia eletta di superare le prove supreme. Il fatto che Mozart abbia introdotto in questa scena un corale di Bach nel duetto degli armigeri che leggono l’iscrizione misteriosa, e ne abbia poi elaborato la citazione su accompagnamento contrappuntistico nella marcia della purificazione, costituisce un superamento e allo stesso tempo un inveramento della convenzione teatrale in legge musicale assoluta: qui è la musica stessa a diventare protagonista della scena, con gesto che addita la meta del divino. Quando il fugato si arresta bruscamente, comprendiamo di essere giunti, dopo un cammino di lunga attesa, alle soglie dell’eterno. Componendo l’ouverture per ultima, due giorni prima che la partitura iniziata sei mesi avanti venisse rappresentata per la prima volta con straordinario successo, Mozart ribadì i diversi piani dell’opera e ne indicò musicalmente gli sviluppi. Il triplice accordo che risuona all’inizio annuncia solennemente il regno di Sarastro, ma è anche il simbolo di un’attesa e di una trasformazione che l’Adagio misteriosamente scandisce; la dinamica in cui si svolgerà l’azione è prefigurata dal fugato in cui si slancia l’Allegro, un segnale che riassume in sé l’altezza di pensiero dei motivi morali e insieme la vivace, spensierata immediatezza teatrale della favola: da ultimo, la spinta verso una rotazione completa si placa e si compie nel corale degli armigeri sulla soglia del tempio, rivelandosi musica senza tempo né spazio, governata da leggi assolute, che solo il salisburghese arrivò a plasmare per le nostre orecchie!!!

Arie di rilievo….. per un veloce ascolto dell’iniziatica opera mozartiana

n. 1: «Zu Hilfe! Zu Hilfe!» (Tamino)


n. 2: «Der Vogelfänger bin ich ja» (Papageno)


n. 3: « Dies Bildnis ist bezauberend» (Tamino)


n. 4: «O zritte nicht» (Regina della notte)


n. 5: «Hm! Hm! Hm» (quintetto)


n. 6: «Du feines Täubchen, nur herein!» (terzetto)


n. 8: «Zum Ziele führt dich diese Bahn» (I° finale)


n. 10: «O Isis und Osiris» Sarastro)


n. 12: «Wie? Ihr an diese Schreckensort?» (quintetto)


n. 13: « Alles fühlt der Hebe Freunden» (Monostato)


n. 14: «Der Holle Rache kocht in meinem Herzen» (Regina della notte)

n. 15: «In diesen heil’gen Hallen» (Sarastro)


n. 17: «Ach, ich fühl’? es ist verschwunden» (Pamina)


n. 18: «O Isis und Osiris, welche Wonne!» (coro)


n. 19: «Soll ich dich, Teuer, nicht mehr sehen?» (terzetto)


n. 20: «Ein Mädchen oder Weibchen» (Papageno)


n. 21: «Bald prangt, den Morgen zu verkünden » (II° finale) 

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