Il modo di comporre. Un nuovo stile umano e musicale

Beethoven scrive le Sue musiche sotto il pungolo esclusivo di una volontà gelosissima, cedendo agli ordini di un supremo autonomismo e riconoscendo nel proprio disinteresse materiale una convalida della propria necessità creativa.

Il contatto con l’Arte non può più avvenire, che sotto il segno di un totale abbandono, non può essere più benedetto dal felice oblio delle età moriture; è per così dire la fondazione musicale di una religiosità laica, è la scoperta di nuove liturgie sonore e prassi compositive, mediante le quali il compositore cerca di rompere un silenzio interiore ormai insopportabile. Beethoven vuole elevarsi ed elevarci in una sfera di dignità e di veggenza superiori a quelle offerte dalla vita materiale di tutti i giorni.

Egli vuole restaurare, costruire ed edificare indelebilmente in noi l’uomo nobile, e per giungere a tanto il mezzo che sceglie è l’esempio, vale a dire la fraterna ostentazione di se stesso con le gioie e i dolori della Sua stessa esistenza terrena.

Numerosi testimoni riferiscono di aver visto Beethoven cercare ispirazione sdraiato sull’erba o addirittura appollaiato tra i rami di un albero.
In segreto, lontano da occhi indiscreti, avveniva invece il laborioso e lento processo di scavo e proliferazione, che dava agli spunti informi ed alle vaghe architetture colte nelle passeggiate, la forma definitiva, che veniva poi trascritta sulla partitura1, ma capitava più volte che Beethoven stracciasse quanto aveva già composto in preda a veri raptus depressivi. Sappiamo che tale processo gli “surriscaldava letteralmente le meningi”, e che per ovviarvi aveva preso l’abitudine bizzarra, che esasperava sia i padroni di casa sia gli eventuali coinquilini e condomini, di rovesciarsi addosso secchiate d’acqua fredda cantando a squarciagola questa o quella parte mentre il pavimento andava inesorabilmente allagandosi.
Giustamente è stato posto in evidenza come l’amore platonico di Beethoven nei confronti della Natura2 e per la Natura non aveva, come per tanti suoi contemporanei, carattere “sentimentale”, ma virile e produttivo.

Molto mattiniero, già all’alba, dopo una sobria colazione, Beethoven sedeva alla scrivania, completamente ricoperta di partiture, dove restava sino a mezzogiorno; dopo pranzo era di consuetudine la camminata, che prendeva gran parte del pomeriggio, lungo i viali alberati costeggianti il Danubio.

Le ore dopo il tramonto erano dedicate agli impegni mondani: con gli amici eseguiva musica, andava a teatro o restava a discutere o a leggere giornali in una delle animate e tipiche taverne della capitale asburgica.
Un giorno, come ci ricorda l’amico fraterno Von Breuning, entrò nel ristorante Schwan per mangiare. Per chiamare il cameriere, che tardava nel servirlo, battè sul tavolo un paio di volte, e nell’attesa, estrasse il Suo quaderno di musica iniziando a comporre. Giunto il cameriere per l’ordinazione non se ne accorse tutto persuaso dalla Sua Musa. Il cameriere se ne andò sconsolato. Beethoven continuò a comporre e dopo un po’ battè nuovamente sul tavolo e chiese il conto.

I contatti con gli editori3 erano per lo più gestiti attraverso un fitto epistolario o brevi colloqui annotati nei Quaderni di Conversazione4.
Negli ultimi anni della Sua esistenza terrena Beethoven era un personaggio talmente noto che, in una lettera a Schlesinger del 13 novembre 1821, poteva con un certo ed apprezzabile orgoglio scrivere: “Non occorre altro indirizzo che: A Ludwig van Beethoven”
Non era un nottambulo e verso le ventidue rincasava riprendendo però a lavorare, spesso fino a tarda notte, addormentandosi talvolta sullo scrittoio.

Beethoven non componeva certo in fretta anzi abbozzava la propria musica con grande anticipo, sia nella mente sia negli scritti, ed in modo estremamente particolareggiato, ma a volte solo comprensibile a se stesso! Non deve quindi sorprendere lo smisurato numero di abbozzi, reperiti sotto varie forme dopo la morte, risalenti alcuni addirittura all’adolescenza vissuta a Bonn.

Appunti e abbozzi erano sparsi ovunque e annotati anche sui calendari domestici, dove normalmente si mischiavano ai dati concernenti l’andamento e l’approvvigionamento della casa e le attività finanziarie quali investimenti in buoni del tesoro o appezzamenti terreni.

Note

1 Nel caso di Beethoven il rapporto con i copisti fu sempre vivace e a volte burrascoso dato che il Maestro completava sempre le Sue opere all’ultimo momento, pochi giorni se non addirittura poche ore prima della prevista prima esecuzione, così che a volte vi fu a malapena il tempo per fare copie manoscritte delle varie parti da distribuire in orchestra.

Molte volte, soprattutto quando eseguiva personalmente le Sue musiche, capitava che i fogli fossero privi di note o con minimi accenni incomprensibili ai più.

Su un copista (tale F. WOLANEK) lo stesso Beethoven così scrive: “Imbecille, asino presuntuoso e debbo scambiare complimenti con un tale mascalzone, che mi rubacchia il denaro? Dovrei invece tirargli le sue orecchie asinine. Pasticcione di un copista! Imbecille! Corregga gli errori, che ha fatto per ignoranza, arroganza, presunzione e stupidità”.

“Una partitura non è mai trascritta con correttezza assoluta se non quando è l’Autore stesso a farla! E devono essere sempre fatte su fogli di venti o meglio ancora ventiquattro pentagrammi”

2 “Il mio sciagurato udito qui non mi tormenta. Certo è come se ogni albero mi parlasse dalla campagna: Santo! Santo! Incanto nel bosco! Affittare una casa da un contadino. Dolce tranquillità del bosco!”

Ed ancora “Onnipotente! Nei boschi io mi sento felice; sono felice, nei boschi, dove ogni albero parla di te; Dio che splendore! In queste foreste, sulle colline, vi è la calma, la calma per servirti”- “Amo gli alberi più degli uomini”.

3 All’epoca l’editore, che acquistava (e questo valeva anche per opere non commissionate) pagava al compositore una cifra concordata, una sola volta, e da questo momento l’opera diventava di sua proprietà e l’editore ne realizzava la prima edizione ed anche le eventuali riduzioni per uno o più strumenti.

Le quotazioni potevano essere queste (da una conversazione con Tobias Haslinger):

30 Ducatipage36image2971616Una Sonata per pianoforte
40 DucatiUna Sonata per pianoforte grande o con accompagnamento
da 60 a 80 Ducatipage36image1700784Una Sinfonia
120 Ducatipage36image1703072Un Requiem o Una Messapage36image1703696
200 DucatiUn Oratorio piccolo
300 Ducatipage36image3672512Un’Opera seria
300 DucatiUn Oratorio grandepage36image2969376

Questo “contratto” implicava il fatto, che un musicista non potesse vendere una stessa opera a più editori contemporaneamente e per contro avrebbe anche dovuto significare che era proibito, ad altri editori, impossessarsi dell’opera e stamparla per proprio conto.
Questa tacita regola veniva in genere rispettata entro i confini di una nazione, ma editori di altri paesi potevano tranquillamente ristampare l’opera, e non avendo dovuto sostenere spese pagando l’autore, rivenderne le copie a prezzo inferiore a quello dell’editore, che ne era diventato proprietario.

4 Essi, quasi tutti nel formato 12×18 cm, ci tramandano un importante spaccato del vissuto del Nostro a partire dal 1818, dove primeggiano monologhi, citazioni di frasi o pensieri filosofici, personali e drammatiche confessioni sulla vita quotidiana, ma anche annotazioni e spunti di riflessione musicali sulle opere in divenire.

Non mancano battute licenziose o spiritose. Buona parte di essi furono scritti a matita.

Lo stesso Beethoven così sui Quaderni di conversazione: “In tal modo io non sono del tutto separato dal mondo e da coloro che mi amano. Ho qui sempre il mio libro, qui l’occorrente per scrivere in modo che tutti possano rispondere per iscritto ad ogni mia domanda”.
La calligrafia è molto difficile da comprendere e soprattutto da decifrare per l’assoluta difformità del tratto.

Beethoven a tal proposito diceva “La vita è troppo breve per dipingere le lettere e note: e note più belle difficilmente mi toglierebbero dal bisogno” (La frase si basa sul gioco di parole NOTE = Nota musicale e NOT = Bisogno necessità).
Lo stesso concludeva l’appunto – pensiero con “IO scrivo piuttosto 10000 note, che una lettera dell’alfabeto”

Le matite, che utilizzava erano più grosse delle comuni, tipo quelle utilizzate dai falegnami, per due esigenze: la prima il tratto doveva essere deciso, la seconda perché aveva mani molto robuste.
Il modo di scrivere lettere, appunti e conversazioni è fondamentalmente basato su di un vocabolario semplice e limitato; il frasario è abbastanza povero, o meglio conciso e diretto al nocciolo dell’argomento.

Lo stile è caratterizzato da frequenti errori nella costruzione della frase sintattica e nella grammatica, dove mancano le basi della punteggiatura sostituita frequentemente dall’uso di barrette per separare le frasi o le parole.
Molte volte le indicazioni degli argomenti trattati sono approssimative, semplicemente allusive, come se il Maestro fosse certo che il destinatario / interlocutore fosse perfettamente a conoscenza di quanto scritto.

A volte concludeva lettere, appunti o anche abbozzi con la sigla BTHVN.
Quando scriveva una lettera in italiano o con inserimenti di parole italiane soleva, vezzosamente, firmarsi LUIGI van BEETHOVEN.

Le lettere sono comunque uno spaccato del carattere di Beethoven. Scritte molte volte di impulso dopo un avvenimento sgradevole, ci mostrano il lato iroso del Maestro, ma altre sono lo specchio della Sua bontà d’animo, dell’equilibrio del Suo giudizio e della Sua spiritualità.

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