La settimana autentica. Buona Pasqua di Resurrezione

Musica: Georg Friedrich Händel (1685 – 1759) 

Testo: Carlo Sigismondo Capece
Ruoli: Angelo (soprano) Maddalena (soprano) Cleofe (contralto)
San Giovanni (tenore) Lucifero (basso)

Organico: coro misto, 2 fIauti diritti, fIauto traverso, 2 oboi, fagotto, 2 trombe, 4 violini, viola, viola da gamba, 2 violoncelli, tiorba e basso continuo
Composizione: Roma, 1708
Prima rappresentazione: Roma, 8 aprile 1708

Edizione: Samuel Arnold, Londra, 1790 circa

Esecuzione: https://youtu.be/uxf1EwSO9ww?si=ax3Y0E5EU5N70OJt

Sinossi

PARTE I
Scena 1 
– In un dialogo fra l’Angelo e Lucifero, quest’ultimo domanda da dove venga tanta luce e il motivo di quell’insolita visita. La creatura celeste risponde annunciando la venuta del Re. Il signore degli abissi, cacciato un tempo dal Paradiso, crede ora di aver avuto la sua rivincita poiché in quel giorno il Figlio di Dio è stato sconUtto dalla morte. L’ Angelo gli impone di tacere; infatti egli non comprende che Dio ha scelto di soffrire la Passione per amore e che con il suo gesto ha riscattato l’umanità evinto la morte.
Scena 2 – Maddalena e Cleofe si dolgono della morte di Gesù, quindi giunge Giovanni a consolarle e infondere in loro la speranza giacché il terzo giorno, quello della Resurrezione, è prossimo. Maddalena e Cleofe si recano presso il sepolcro di Cristo con balsami e unguenti, mentre Giovanni si reca a confortare la Vergine Maria.
Scena 3 – L’ Angelo invita le anime dei morti a uscire dal tetro luogo ove per lungo tempo hanno atteso il momento di seguire Cristo nel giorno del trionfo della vita.

PARTE II
Scena 1 
– Rimasto solo, Giovanni racconta le lacrime versate dalla terra e la speranza di veder risorgere il Dio vincitore.
Scena 2 – L ‘Angelo intona una lode alla Resurrezione del Signore e del mondo che egli ha salvato. All’udire quelle parole, Lucifero è mosso a vendetta e proclama la sua intenzione di confondere gli animi umani e impedire alle pie donne di diWondere la notizia che Cristo è risorto.
Scena 3 – Maddalena e Cleofe, giunte al Sepolcro, rammentano che Gesù non ebbe timore di affrontare la morte per loro.
Scena 4 – Cleofe ha l’impressione che il cielo si stia rasserenando, poi nota che la tomba è aperta e che un giovane è assiso a destra. Maddalena esorta l’amica ad avvicinarsi alla misteriosa creatura da cui sente promanare un senso di consolazione. L’ Angelo annuncia alle donne che Gesù non è più nella tomba, ma è risorto dai morti e che il felice messaggio deve essere riferito a tutti. Colme di gioia, esse cantano lodi e vanno cercando il Signore.
Scena 5 – Cleofe si imbatte in Giovanni che le domanda dove sia diretta ed ella lo informa della notizia e del modo in cui le è stata rivelata. Poco dopo i due vengono raggiunti da Maddalena, che narra loro come abbia visto il Signore e gli sia corsa incontro per baciargli le piaghe, ma egli le abbia detto di non poter essere toccato e sia scomparso. A quelle parole Giovanni comprende che il tempo del dubbio è Unito, Gesù è risorto e con lui il mondo è salvo. Il coro invita a lodare Dio in cielo come in terra.

È giunto in questa città un Sassone eccellente suonatore di cembalo e compositore di musica, il quale oggi ha fatto gran pompa della sua virtù in sonare l’organo nella chiesa di san Giovanni con stupore di tutti“; così Francesco Valesio nel suo diario alla data del 14 gennaio 1707. Nessun dubbio sull’identità del Sassone in questione: il ventunenne Georg Friedrich Haendel, che alla Une del 1706 aveva abbandonato Amburgo per varcare le Alpi al seguito del principe di Toscana. Un viaggio di perfezionamento, prassi ambita e consueta, lungo tutto il secolo XVIII, per moltissimi musicisti oltremontani. Sebbene l’Italia fosse politicamente divisa e culturalmente tutt’altro che omogenea – anzi forse proprio a causa di questi motivi – era nella penisola che morivano quelle scuole musicali, tanto vocali quanto strumentali, che dettavano legge al gusto di tutta Europa.

In Italia Haendel si doveva trattenere fino ai primi mesi del 1710, toccando le città di Firenze, Napoli, Venezia, ma soprattutto fermandosi a Roma per la maggior parte del tempo. Rispetto alle altre capitali musicali della penisola Roma verteva in una situazione peculiare e contraddittoria. Da una parte l’opera, come genere, vi era proibita, in quanto considerata troppo profana per la città eterna; in compenso vi Uoriva una ricca produzione oratoriale, ovviamente incentrata su soggetti sacri. I circoli culturali, inoltre, erano estremamente fertili, grazie soprattutto al mecenatismo diffuso e legato alla competizione fra diverse famiglie gentilizie. Haendel, nel corso dei suoi differenti soggiorni, si trovò alle dipendenze di almeno tre diversi mecenati: due prelati aristocratici, Benedetto Pamphili e Pietro Ottoboni, e soprattutto il marchese Francesco Ruspoli (poi principe), presso il quale il compositore si trattenne nel corso di tre lunghi periodi (maggio-ottobre 1707, febbraio-maggio 1708, luglio- novembre. 1708).

A Roma Haendel trovò alcuni fra i più rinomati compositori del suo tempo: Alessandro Scarlatti, già maturo e considerato forse il più importante compositore operistico e sacro del periodo, il Uglio Domenico Scarlatti, suo coetaneo, Arcangelo Corelli, grande codificatore del concerto strumentale. Con costoro, e con altri, Haendel stabilì rapporti personali. Domenico Scarlatti gli fu opposto in una gara alle tastiere presso il cardinale Ottoboni, da cui il Sassone uscì vincente per quanto riguardava l’organo. Logico che l’entratura presso questi circoli musicali si traducesse in una straordinaria esperienza di apprendistato, di cui Haendel, eccezionalmente recettivo, seppe far tesoro. La sua formazione lo aveva reso uno strumentista e un contrappuntista di prim’ ordine, ma la scuola italiana gli consentì di alnare il suo stile vocale, il gusto dei contrasti, la ricchezza dei colori. Nel volgere del 1707 nascono così i primi straordinari frutti di questo sincretismo culturale: il salmo Dixit Dominus, scritto dietro commissione di Ruspoli, e l’oratorio “Il trionfo del Tempo e del Disinganno‘”, commissionato dal cardinale Pamphili, anche autore del libretto. Si aggiungano molti altri lavori vocali meno impegnativi e un numero enorme di cantate da camera, in gran parte destinate alla cantatrice Margherita Durastanti, protetta di Ruspoli.

Proprio i registri di contabilità di casa Ruspoli offrono il modo di comprendere molti dettagli dell’attività di Haendel a Roma; egli non era stipendiato, ma pagato “a prestazione”, dunque probabilmente accolto come un ospite in casa del marchese. Grazie a questi registri è possibile anche seguire da vicino le vicende della nascita dell’oratorio “La resurrezione“, che costituì probabilmente l’apice di tutta l’attività di Haendel a Roma. Reduce dal successo di “Rodrigo“, opera rappresentata a Firenze, Haendel fece ritorno a Roma alla Une del febbraio 1708 e subito venne coinvolto nel progetto, che era il più ambizioso mai promosso da Ruspoli, mecenate che non aveva alle sue dipendenze una intera orchestra, ma solo pochi musicisti: produrre un intero oratorio da eseguirsi il giorno di Pasqua, domenica 8 aprile. Certamente questo incarico poneva il compositore in diretta contrapposizione con Alessandro Scarlatti, che doveva scrivere un altro oratorio – “La passione di nostro signore Gesù Cristo” – da eseguirsi il venerdì santo presso il cardinale Ottoboni; così come poneva lo stesso Ruspoli in rivalità con Ottoboni.

Non a caso Haendel ebbe a disposizione ben sette settimane per la stesura della partitura e la sua messa a punto, e potè inoltre usufruire, caso assai inusuale, di tre diWerenti prove distanziate nel tempo. Per l’aspetto musicale Ruspoli non aveva badato a spese: oltre 35 musicisti si avvalevano della direzione del grande Arcangelo Corelli (che già aveva diretto l’anno prima “Il trionfo del Tempo e del Disinganno“); il cast vocale comprendeva cinque voci: due castrati (Pasqualino e Matteo, nei ruoli di Cleofe e dell’Angelo), il basso Cristofano (Lucifero), il tenore Vittorio Chiccheri (San Giovanni) e Margherita Durastanti come Maddalena. Veramente sfarzosa era poi la preparazione della sala. L’oratorio venne eseguito nella residenza di Ruspoli, non ancora l’attuale palazzo Ruspoli in via del Corso (dove l’aristocratico si trasferì nel 1713), ma palazzo Bonelli a piazza SS.Apostoli (attuale sede della prefettura).

Destinato allo Stanzone delle Accademie al piano nobile, l’oratorio venne spostato a ridosso dell’esecuzione nel più capiente salone principale del pian terreno, vista la prevedibile massiccia presenza di pubblico (vennero stampati ben 1500 libretti). E qui che venne allestito un “teatro à scalinata” per i musicisti, nascosti parzialmente da un parapetto e con un palchetto per il concertino. In alto un fregio illuminato da dietro riportava il titolo dell’oratorio; sullo sfondo un grande telo appositamente dipinto da Michelangelo-Cerniti effigiava i personaggi dell’oratorio. Il tutto nascosto da un sipario scorrevole, e arricchito da arredamenti di broccati, legni dipinti e via dicendo, secondo uno sfarzo gentilizio che sfugge alla fantasia dei posteri. Unico contrattempo a tutto questo fu il fatto che il ponteUce Clemente XI non giudicò appropriata la presenza di una cantante femminile nel ruolo di Maddalena, visto che l’impiego delle donne era proibito per le recite teatrali, e quella esecuzione somigliava piuttosto a una recita teatrale; così, alla replica del Lunedì dell’Angelo, la Durastanti venne sostituita da un tal castrato Filippo.

Proprio questa sostituzione sposta il discorso sul contenuto e sul significato dell’oratorio stesso. Appare evidente, dalla descrizione dell’allestimento, che anche “La resurrezione” si inseriva pienamente nella tendenza di tutto l’oratorio romano di quel periodo: ovvero, in una città nella quale l’opera era proibita, eseguire oratori che fossero quanto più simili possibili a un’opera. Non a caso l’oratorio aveva ormai perso la presenza dello Storico e contemplava dei personaggi che agivano l’azione sacra come una sorta di drammaturgia; anche sotto il proUlo musicale le arie erano impostate nella forma col “da capo” che era tipica dell’opera.

E dunque converrà considerare il libretto redatto da Carlo Sigismondo Capece (1652-1728), poeta di corte della regina Maria Casimira di Polonia, in esilio a Roma. L’argomento della resurrezione (“Oratorio per la risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo” è il titolo completo del libretto) poteva certamente prestarsi a rischi di blasfemia in caso di presenza della Ugura di Cristo; questa dunque viene accuratamente evitata dal librettista, che impostò l’azione su due diversi livelli. Da una parte, tenendo presente il fine precettistico tipico della produzione oratoriale, si svolge una lotta fra forze celesti e forze demoniache, rappresentate dalle figure dell’Angelo e di Lucifero; quest’ultimo crede di trionfare ma fugge inUne sconfitto. L’Angelo funge anche da connessione con l’altra dimensione, quella terrestre, che vede i personaggi di Maria Maddalena, Maria Cleofe (madre di San Giacomo) e San Giovanni piangere la morte di Cristo e credere nella resurrezione; poi le due donne ricevono dall’Angelo la nuova dell’atteso evento sovrannaturale, ne riferiscono, gioendo, a Giovanni; infine la stessa Maddalena narra l’apparizione di Cristo, ed alza con gli altri un inno di lode. Non mancano poi le metafore ricorrenti in tutti i libretti dell’epoca: il vascello nella tempesta, la tortorella amorosa, il sole che sorge e via dicendo. Su questo libretto Haendel scrisse una partitura divisa in due parti, che comprende 29 numeri musicali, così articolati: 20 arie (cinque per Maddalena, quattro per Cleofe, Giovanni e l’Angelo, tre per Lucifero), due duetti (Maddalena/Cleofe e Angelo/Lucifero), tre recitativi accompagnati, due brani strumentali (Sonata e Introduzione) per aprire ciascuna delle due parti e due pagine con cori (ovvero intonate da tutti i cantanti) in chiusura di ciascuna della due parti (per l’esattezza un’aria responsoriale dell’Angelo col còro e un semplice coro). La lunga galleria di arie che compone la partitura barocca potrebbe essere considerata monotona; rivela, invece, il genio precoce del compositore proprio nella estrema varietà dei risultati.

C’è, da parte di Haendel, innanzitutto, una capacità che poi si presenterà sempre nelle sue opere mature, ovvero la capacità di caratterizzare i personaggi al di là degli stilemi imposti dalle convenzioni dell’epoca. Il personaggio di Lucifero, ad esempio, viene gratificato di arie estremamente incisive, per la coloratura e i salti di registro, e per soluzioni strumentali come l’unisono degli archi nell’aria “O voi dell’Erebo”. Se la voce più grave elgia il male, quella più acuta, l’Angelo, elgia il bene, puntando su vocalizzi di giubilo, come nella pagina conclusiva della prima parte. Se più convenzionali sono i personaggi di Giovanni e Cleofe, Maddalena oWre un panorama espressivo estremamente diversiUcato, che procede dall’elegia (“Per me già di morire”, con i Iauti a becco che raddoppiano gli oboi), al giubilo (“Del ciglio dolente”, “Se impassibile, immortale”). E tuttavia Haendel non manca di stupire individuando anche per i personaggi minori delle pagine di straordinaria elcacia; come l’aria di Giovanni “Ecco il sol”, che dipinge l’alba con il basso continuo ostinato in crescendo, o quella di Cleofe “Augelletti, ruscelletti”, con gli archi all’unisono che raddoppiano la ritmica imprevedibile della voce. Certamente Haendel avrà avuto presenti dei modelli per le categorie espressive delle voci, ma questi sono come trascesi dalla prepotente personalità del compositore.

E c’è un altro aspetto della “Resurrezione” che desta l’ammirazione dei posteri: le scelte strumentali. Dai libri contabili di Ruspoli è possibile risalire al numero esatto di strumentisti impiegati per l’esecuzione: 23 violini (che però non sempre suonavano tutti), quattro “violette”, sei “violoni”, due contrabbassi, una viola da gamba, due trombe, un trombone (assente però in partitura) e quattro oboi (che suonavano anche un flauto dritto, due flauti a becco e un fagotto). In tutto 35 strumentisti guidati da Corelli. Ebbene, questo gruppo è impiegato in modo da variare ogni volta l’organico da un pezzo all’altro, creando situazioni espressive e spessori sonori sempre rinnovati. Anche la tecnica del concerto grosso (contrapposizione di alcuni solisti a un gruppo strumentale più nutrito) viene usata in termini assai diversi da quella che era tipica di Corelli (due violini solisti, archi e basso continuo), per la presenza di oboi, di violino e viola (“Per me già di morire” di Maddalena), di viola da gamba sola (“Quanto è parto dell’aWetto” di Giovanni) e via dicendo. Le combinazioni fra tipologie vocali, tipologie espressive, scelte strumentali, offrono l’idea della fantasia vulcanica del compositore ventiduenne, che ha comunque un esito davvero peculiare e distinto rispetto ai contemporanei: quello di donare credibilità umana e spessore partecipativo ai personaggi.

La resurrezione” è la partitura di un compositore che ha voracemente assimilato, in poco più di un anno di soggiorno in Italia, i differenti stili in voga nella penisola, metabolizzandoli e piegandoli alla sua propria concezione; che è quella di una ricchezza e varietà espressiva, di uno sfarzo sonoro, di una gestualità teatrale e di una direzionalità drammatica che, seppure in altre forme, si ritroveranno chiaramente negli anni londinesi, dove saranno amministrate con maggiore oculatezza; di fronte alla quale però si deve ammirare senza riserve la generosità perUno pletorica del capolavoro giovanile.

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