Musica di “papà” Haydn

Sinfonia n.45 in fa diesis minore

“Abschiedssymphonie” 

(Sinfonia degli addii)

Hob.I: 45

Movimenti

  1. Allegro assai (fa diesis minore)
  2. Adagio (la maggiore)
  3. Minuetto: Allegretto (fa diesis maggiore) e Trio
  4. Finale: Presto (fa diesis minore); Adagio (la maggiore) 

Organico: 2 oboi, fagotto, 2 corni, orchestra con archi solisti

Composizione: Eisenstadt, 1772

Edizione: Bureu d’Abonnement, Parigi, 1773

Nell’ambito della sterminata produzione sinfonica di Haydn, la Sinfonia n.45 si presenta con caratteristiche di assoluta singolarità: l’insolita scelta del fa diesis minore come tonalità d’impianto, la planimetria tonale complessiva e più in generale un discorso armonico complesso e originale, nonché la vera e propria gag dell’ultimo movimento, che fruttò alla Sinfonia il suo nomignolo. Vale invece la pena di tracciare subito un breve schema delle tonalità impiegate nei diversi movimenti, per osservare come sia basato sulla relazione tra tonica minore, relativo maggiore e tonica maggiore, secondo modalità quanto mai insolite per quell’epoca musicale.

Il gruppo tematico di apertura del primo movimento, Allegro assai è formato da energici arpeggi discendenti dei violini primi, suoni tenuti dei fiati e crome ribattute di viole e bassi, mentre le sincopi dei violini secondi accrescono la drammaticità dell’insieme. Sul medesimo elemento si basa la transizione verso il relativo maggiore; ma subito dopo che il secondo tema – una breve figura discendente in crome, dialogata tra violini e bassi – è stato presentato, il ritorno del tema principale sposta il discorso di nuovo al modo minore. Nel gruppo tematico, che chiude l’Esposizione sono i violini primi ad appropriarsi del ritmo sincopato, mentre gli altri strumenti espongono un motivo dolorosamente cromatico. Dopo il canonico ritornello dell’Esposizione, i tre elementi tematici principali si ripresentano nel medesimo ordine nella prima parte dello Sviluppo, a seguire una brusca interruzione sulla dominante di si minore, gli archi presentano sommessamente un elemento tematico nuovo, sia pure imparentato col secondo tema, in re maggiore: quasi una sorta di parentesi lirica nel dramma di questo primo movimento. Charles Rosen, grande studioso dello stile di Haydn, Mozart e Beethoven, definisce questa oasi «Trio», mentre altri, in maniera francamente un po’ più lambiccata, ne parlano come del vero e proprio secondo tema. La Ripresa è simmetrica all’Esposizione, con tutto il materiale ricondotto, ovviamente, al fa diesis minore d’impianto. 

Sono i violini con sordina ad aprire, in tono scherzoso, il secondo movimento (Adagio), nel quale, come d’abitudine, Haydn usa gli strumenti a fiato con grande parsimonia: gli oboi entrano solo per dare risalto al secondo gruppo tematico, che vira bruscamente e inaspettatamente al modo minore; prima del ritorno al maggiore, che chiude l’Esposizione c’è spazio per un episodio intensamente cromatico. Anche nello Sviluppo, modo minore, andamenti cromatici, ritardi e appoggiature stabiliscono un evidente collegamento con il clima fosco del primo movimento, prima che i violini primi restino da soli a preparare la Ripresa. 

Il clima gioviale nel quale si apre il Menuet è solo qua e là offuscato da improvvisi cromatismi, come il re naturale di viole e bassi alla terza battuta, che ancora una volta richiama il modo minore nel quale si era aperta la Sinfonia. Da notare il misterioso pianissimo dei violini che chiude tanto la prima come la terza frase. La melodia principale del Trio, presentata dai corni, è di chiara impronta popolareggiante; qualche commentatore ha ipotizzato addirittura un’ascendenza gregoriana. Si osservi come, nella seconda sezione, la frase contrastante abbia dimensioni ben più rilevanti rispetto alla frase iniziale, che viene riproposta solo parzialmente. 

Ed eccoci arrivati al celeberrimo Finale, il brano che fa di questa composizione un unicum nella storia della Sinfonia. Le vicende, che portarono Haydn a concepire quella che già ho definito gag sono narrate da tutti i principali biografi del grande compositore. Riassumendo, il principe Nicolaus Eszterhàzy, particolarmente legato alla sua fastosa dimora estiva di Eszterhàza

vi trascorreva periodi sempre più lunghi e i musicisti della sua cappella erano così costretti a passare sempre più tempo lontani dalle loro famiglie, che risiedevano a Eisenstadt. Verso la fine del 1772, i musicisti rivolsero il loro «grido di dolore» all’amatissimo maestro di cappella Haydn, che si inventò questo finale: un Presto tradizionale sfocia in un ampio Adagio, nel quale la partitura prescrive che tutti gli strumentisti dell’orchestra abbandonino uno dopo l’altro il loro posto (a quell’epoca, spegnendo anche la relativa candela sul leggio). Gli ultimi ad andarsene sono due violini, che a Eszterhàzy furono Haydn e il Konzertmeister Tomasini. Pare che il principe, molto divertito, ma anche consapevole della legittimità della «rivendicazione», ordinasse l’immediato ritorno della corte a Eisenstadt.

Il primo gruppo tematico alterna momenti sommessi a improvvise accensioni, spesso sottolineate dall’unisono dell’intera orchestra; gli stessi elementi motivici animano la breve transizione, che porta a un secondo gruppo tematico basato sul dialogo tra violoncelli e contrabbassi, da un lato, e primi violini e viole dall’altro. Lo Sviluppo è quasi interamente costruito sul primo gruppo tematico. Nella Ripresa, dopo che tutto il materiale dell’Esposizione è stato ricondotto alla tonalità d’impianto e al termine di un’insistita figurazione dei primi violini scandita dagli accordi dell’intera orchestra, l’armonia si arresta sulla dominante. E qui comincia lo strabiliante Adagio che servì a Haydn per la sua divertente «protesta». Il brano, una solida forma-sonata priva di ritornelli, è impiantato, come già si accennava, in la maggiore. Già nella battuta che precede l’inizio dello Sviluppo cominciano le prime «defezioni», quella del primo oboe e del secondo corno. Ancora più gustoso è il modo utilizzato dal compositore per preparare le altre uscite, che sono sempre precedute da un intervento solistico dello strumento, che sta per andarsene: cosi fanno il fagotto, poco dopo l’inizio della Ripresa, l’oboe e il corno rimasti e subito dopo il violone (cfr. il moderno contrabbasso), il cui lungo solo serve anche a preparare la definitiva modulazione a fa diesis maggiore. Un lungo e divertito dialogo, in spegnimento progressivo, tra i due soli violini superstiti porta questo stupefacente brano alla sua conclusione.

Uno speciale ricordo nell’addio terreno (cfr. 31 maggio 1809) di questo pilastro della Musica Classica

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